MEA PULCHRA

 

"Catà"- da "Piazza S. Maria" del Prof. Renzo Carano


"D'inverno, quando non si poteva lavorare fuori, poichè la calce gelava, stava in bottega dalla mattina alla sera a sbozzare pezzi di pietra, dai quali cavava fuori, poi, a furia di scalpello, volte e gambe di portoni e di camini, che adornava con fregi vari, per lo più foglie di acanto di cui conservava un disegno ormai sgualcito avuto non si sà come. Sull'architrave dei camini scolpiva di solito una coppia di leoni, uno di fronte all'altro, separati da una rosetta. Molti andavano a intrattenersi nella sua bottega ed osservavano il suo lavoro, seduti accanto al braciere nel quale bruciava un po' di carbonella, che ogni tanto muovevano con delicatezza e parsimonia, quasi accarezzandola nell'ammonticchiarla dal basso in alto a formare un piccolo cono basso, ma dalla base larga. Fumavano le pipe di creta con lunghe cannucce; ogni tanto prendevano con un cucchiaiotto da muratore un carboncello acceso dal braciere e lo mettevano nel fornello della pipa, tiravano in fretta alcune boccate e spipavano il fumo azzurrognolo, che impregnava la bottega del suo aspro odore. Tenevano sulle ginocchia degli ampi fazzoletti azzurri, bagnati dal raffreddore, perchè si asciugassero al calore della carbonella ed anche da questi saliva una nuvoletta di vapore, che si confondeva col fumo delle pipe. Non parlavano, sapevano che Catà non amava discorrere mentre lavorava e, del resto, era un tipo di pochissime parole, sempre".