MEA PULCHRA
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Giordano Fiocca
LA FONDAZIONE E LA DIMENSIONE ABITATIVA GIURIDICA E DEMOGRAFICA DI CAROVILLI
Tra cronaca e leggenda
Si racconta che il primo nucleo abitativo di Carovilli sia sorto intorno alla Chiesa di S. Pietro di Tasso, costruita sulla parte più alta della "Contrada Torre", dai benedettini costretti ad abbandonare, verso il secolo XIII, l'omonimo convento di Pescocorvaro, a causa delle incontenibili e ininterrotte scorrerie e razzie di "briganti saraceni", ma anche di reparti degli eserciti che si contendevano, senza soluzione di continuità, dalla fine dell'impero romano, il possesso delle terre del meridione d'Italia; i quali tutti "ladroni", asportarono, dal distrutto Convento, quanto i frati vi avevano pazientemente e con cura accumulato, da quando i conti Borrello di Pietrabbondante, con atto del 2 Maggio 1068, avevano donato ai Benedettini le terre di "Peschio Corvaro" e come era consuetudine, vi avevano fondato il Monastero.
Sta di fatto che le case più antiche del paese, contrassegnate da una struttura particolare (la casa di Don Paolo, per esempio, con l'arco che lega l'una parte all'altra del grosso caseggiato) si trovano appunto sulla "Torre" e godono di una vista che spazia sull'intero territorio comunale. Sintomatico il caso della casa del "maestro Giacondino", sulla vetta della "Torre", dalla quale lo sguardo si allarga da un lato fino alla vale del Pizzo ed alle lontane Mainarde, e dall'altro fino alla "Manucca", l'antica scolta, "spia ascoltatrice" legata direttamente, in linea d'aria, con il noto castello del Duca di Pescolanciano, e pertanto in grado di comunicare immediatamente qualunque movimento di uomini o pericolo le fosse stato segnalato dalla "sentinella della Torre".
Verso la seconda metà del secolo XV, la data precisa non è nota, la Chiesa, che con la partenza dei Benedettini era stata intestata a S. Sebastiano, fu abbandonata e con il consenso degli eredi di Pietro e Roberto de Corvay, fu ricostruita sulle pendici del Monte Ferrante con dimensioni ridotte prima, con respiro più ampio dopo, nel corso del XVII secolo e con le strutture architettoniche dello stile dell'epoca, e dedicata a S. Maria Assunta. I fedeli seguirono la loro Chiesa ed iniziarono ad adagiare le loro case sulle pendici del monte; allargarono gradualmente la "cerchia delle mura", mentre, attorno al XV secolo, tradussero Calvello in "Carvigl" e quindi in Carovilli.
A distanza di oltre tre secoli, la Chiesa fu arricchita del campanile che troneggia sulla piazza assieme alla torre dell'orologio, rispettivamente costruiti, come testimoniano una pietra e un rosone incastonati nelle mura, nel 1844 e 1744: la leggenda vuole che l'una e l'altra torre siano state costruite per dar lavoro e pane agli artigiani e ai contadini, gettati sul lastrico e nella più squallida miseria da un freddo polare che, protrattosi fino al mese di luglio, nei rispettivi anni, aveva distrutto non solo i raccolti, perfino l'erba dei campi e le foglie degli alberi, costringendo gli abitanti di Carovilli a recarsi in Isernia al fine di elemosinare qualche pugno di granturco.
La scelta sarebbe stata molto più felice se fosse caduta, anzichè sulle falde del Monte Ferrante, sui declivi dell'Ingotte,
del Pizzo o addirittura a "Piè del Monte", che restano illuminate e riscaldate dal sole, in particolare modo nella stagione invernale, per un tempo di oltre due ore rispetto ai luoghi prescelti. Per un centro abitato a circa 900 metri sul livello del mare l'alternativa non sarebbe stata di scarsa importanza.
Con molta probabilità la scelta fu dettata da motivi di sicurezza e difesa, soprattutto di protezione del "Castello di Pescolanciano" e degli accessi alle due strade "pubbliche", i tratturi Celano-Foggia e Castel di Sangro-Lucera che sfiorano la periferia del territorio comunale e sono legati da un tratturello che attraversa tutto l'agro esterno all'abitato. Protezione indispensabile, atteso che la transumanza, che si praticava attraverso i tratturi, con la pastorizia e la "mena delle pecore", rappresentavano le rendite più consistenti per l'erario, e nello stesso tempo erano la fonte primaria sia del benessere dei proprietari del bestiame (conti, duchi e signori..) e sia del sostentamento dei pastori agricoltori.
Non rientra negli obiettivi di questo lavoro, peraltro all'autore mancherebbero le forze, di ricostruire il divenire del paesaggio e, più in generale, la storia etico-politica del paese e dei suoi abitanti; tuttavia è da riconoscere che unn'impresa del genere sarebbe destinata in partenza all'insuccesso a motivo della assenza pressocchè assoluta di documenti e dati precedenti all'incendio dell'archivio comunale del 1809.
Gli unici documenti anteriori alla data della distruzione dell'Archivio, oltre alla Pergamena ed alla Copia notarile già citate, due libri "degli consegli dell'università" e dei rendiconti della comunità di Carovilli e Castiglione, dal 1710 al 1785 il primo, dal 1735 al 1778 il secondo.
Di recente abbiamo avuto la ventura di riesumare una "Pandetta", una delle diciotto copie"estratte da un'altra copia consimile a me esibita" dai sindaci di Carovilli e Castiglione, afferma il notaio Giocondino Carano, estensore della copia, presumibilmente verso il 1770, a noi rimasta.
Essa raccoglie la convenzione pattuita, il 15 ottobre del 1667, tra il Duca di Pescolanciano e Barone delle terre di Carovilli, ed i residenti di Carovilli e Castiglione ("con la chiamata di un uomo a foco"). Tra le numerosissime "grazie" concesse dal Duca, sintomatica quella che afferma: "che li cittadini possano andare a caccia a qualsiasi voglia sorte di caccia, eccettuandone però con armi da fuoco....(e l'altra che riconosce).... circa per le donne si contenta l'Ill° Sig. Duca non fare comandare , se non solo quelle donne, che sono più solite andare a giornata ad altri , e le donne gravide non farle comandare da nessuna maniera, ma anco pagare le donne che serviranno....".
Non poteva mancare, in un contratto stipulato dai "tavernier", la grazia relativa appunto alle "taverne";
e di fatto, nella Pandetta si legge, fra l'altro: "....non si innovi cosa alcuna, ma s'osservi l'antico solito, e per la vendita di vino, ed altro, spettantino alle taverne del Sig. Duca, non si intende novazione alcuna in vendere vino, o altra, ma resti in osservanza all'istesso im....".
Dalla lettura si evince chiaramente che la Pandetta chiudeva un lungo periodo di contestazioni e di ribellioni, comunque di contrasti tra il Duca-barone ed i residenti di Carovilli e Castiglione, circa l'interpretazione e la esecuzione dei diritti e dei doveri a ciascuno spettanti (dai fitti dei prati all'erba, al taglio di "legna morte", alla nomina dei sindaci ecc. ecc. ....). Sta di fatto che nel nuovo contratto, sono previsti sia l'estinzione di tutti i reati, debiti, crediti, diritti consuetudinari precedenti al 1668, e sia l'impegno dei contraenti di rispettare scrupolosamente quanto in esso è stato convenuto e confermato.
Presso l'Archivio parrocchiale di Carovilli sono conservati, oltre a tre delibere dei Decurioni di Carovilli relative all'anno 1807 ed al ritorno in patria delle "Sacre Reliquie" di S. Stefano del Lupo, il registro dei "Battezzati, dei morti e dei matrimoni" dal 1620 in poi; corrosi dal tempo e dall'incuria, non sono facilmente decifrabili, a motivo anche della varietà dei criteri di annotazione dei dati. In uno stato di conservazione molto migliore , gli stessi registri relativi alla Parrocchia di S. Nicola di Castiglione, e che vanno dal 1700 ai giorni nostri.
Risulta che dal 1620al 1668 il numero dei residenti non doveva aver superato la cifra di 400, mentre quello dei battezzati e dei morti doveva aggirarsi, mediamente, intorno a 10 e 9 all'anno; i matrimoni non superarono mai il numero di cinque o sei all'anno.
La modesta cifra di 400, presumibilmente comprensiva dei residenti di tutta l'Università di Carovilli e Castiglione, viene implicitamente confermata dalla presenza di circa cinquanta "naturali" "un uomo a foco" nella seduta del "conseglio" in cui si stipulò la convenzione con il Duca di Pescolanciano, riportata nella citta Pandetta.
A motivo anche della sostanziale diminuzione delle scorrerie dei "briganti" e del definitivo trasferimento dell'intero territorio alle dipendenze del Duca di Pescolanciano, a partire proprio dalla stipula del contratto (1668), dovette aver inizio un periodo di relativa calma e di sicurezza, con il graduale assestamento delle abitazioni ed il lento ma ininterrotto aumento della popolazione, la quale dopo un secolo doveva essersi triplicata se, come è accertato, questa volta dai registri di ambdue le parrocchie , il numero di battezzati, dei morti e dei matrimoni fu, nell'anno 1770, rispettivamente di 42-44-12 e di 7-12-2.
Il numero maggiore dei morti rispetto ai nati, 44 e 12 , e 44 e 7, sembra sia dovuto alle ricorrenti epidemie che di tempo in tempo falcidiavano la popolazione (documentata quella del 1770).
L'incremento della popolazione doveva proseguire, con qualche breve interruzione, fino al 1896, quando, appunto, raggiunsecomplessivamente la sua massima espansione con oltre 4.000 abitanti, 137 nati, 98 morti, 33 matrimoni.
Da quel momento è iniziata la parabola discendente, forse irreversibile, che ha ridotto il numero dei residenti dell'intero comune ai 1640 del 1984, dicui 239 della frazione, con un totale di 26 nati, 25 morti e 22 matrimoni.