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Mea Pulcra
La raccolta
"E'cche 'ne ce stiènne préte!", qui non ci sono pietre, esclamò il Prof. Renzo Carano attraversando la pianura romagnola, a differenza dei terreni sassosi di Carovilli che esigevano una fatica quotidiana per liberare la terra dai sassi ammucchiandoli nelle "macère" ai bordi del campo.
Alle nove del mattino passava il treno Sulmona-Isernia detto "re trène de re muòcche", il treno della polenta, perchè a quell'ora le donne portavano da mangiare ai loro uomini con la mesèlla in testa o addirittura con la " sciònna" assieme al bambino. C'era polenta e non sempre una fetta di lardo di maiale , perchè il lardo doveva arrivare fino alla mietitura di luglio e oltre. Il detto era: "ogni màle puòrche dùra n'ànne", ogni maiale anche se scarso deve durare un anno.
Più allegramente in un canto popolare abruzzese arriva una giovane donna:
"La padroncina vien con la canestra,
ci porta la pietanza e la minestra.
In testa la canestra e il "trufo" in mano,
la canestra gli fa da parasole,
gli occhi neri lucenti, un altro sole".
La maggese
Nel mese di maggio iniziava il pesante lavoro per dissodare la maggese, ripassarla e seminare.
"Mò sarìa mèglie tre mìsce de chièrcere" : "adesso sarebbero meglio tre mesi di carcere" soleva dire "Caremecòsta" di Castiglione, quando a maggio iniziavano i tre mesi di durissimo lavoro nei campi.
Chi poteve permetterselo prendeva a giornata l'aratore, re alàne che portava l'aratro , la pertecàra, e l'animale da tiro .
L'aggancio dell'aratro al giogo era garantito dalla accuncìma.
La ralla era un bastone con un pungolo da un lato per spronare i buoi e dall'altro un raschietto per pulire la lama dell'aratro.
Il taglio del fieno
In giugno si tagliava il fieno con il falcione a manico lungo, lo si caricava sull'animale usando le apposite reti, le rètera, e si depositava nel fienile o vicino alla stalla stipandolo attorno ad un palo a formare re stìglie. Da questo si tagliavano fette di fieno per alimentare gli animali usando il falcione a manico corto oppure si estraevano mangiate mediante un bastone con uncino detto carpescìene.
La mietitura
Per la mietitura arrivavano in luglio dalle campagne di Isernia i mietitori: iniziavano a giugno in pianura per salire, man mano che il grano maturava, a Carpinone, Pescolanciano, e in agosto a Capracotta. A Carovilli dormivano in piazza sul sagrato della Chiesa o sotto il Municipio o a S. Domenico.
All'alba erano già nei campi. Legavano gli animali; battevano il filo delle falci con l'apposito martello e incudine a chiodo (arraddeccuòvane la lama) e la arrotavano con la cote (la cutìcchia), che portavano bagnata nel corno appeso alla cintura, (re acquòre). Con le falci a lama dentata, detta serrécchia, si tagliava meglio il grano: la arrotava 'Mbròsie, il fabbro, con la lima e l'apposito ditale.
Finalmente infilavano i salvadita fatti di canna e iniziavano il taglio del grano, legandolo poi in covoni con la "càsa" (legatura fatta di fili di grano).
Vita dura; al saluto rispondevano "me sònge abbettàte de suònne e me sònge schiattàte de fame"
La trebbiatura
La trebbiatura, tresca, si svolgeva sull'aia, ampio spazio davanti alle masserie. Gli animali galoppavano sui covoni frantumando le spighe.
Forche e rastrelli servivano per una prima separazione dei chicchi di grano dalla paglia, completata poi dai crivelli e dal vento.
La festa della tresca che da qualche anno si celebra nel mese di agosto
sui prati di S. Domenico ricorda l'antico rito (vedi "I' marcord" di G. Fiocca) insieme propiziatorio e di ringraziamento con la processione della immagine della SS. Incoronata e con un pasto comune di pane, formaggio e vino.
A Castiglione la tresca avveniva in Piazza (vedi Piazza S. Maria di R. Carano).
Negli anni '30 si incominciò ad usare la macchina trebbiatrice: i covoni in attesa del loro turno venivano composti sull' àra a forma di casetta, la àcchia.
Il grano si stipava nel casciòne che aveva un grosso coperchio in alto e due sportellini in basso con chiusura a saracinesca per il prelievo del grano.
Oggetti della "Agricoltura e allevamento" esposti sui prati di S. Domenico alla festa de "La tresca" dell'agosto 2007.
Altri prodotti agricoli
Nel mese di agosto si raccoglievano i fagioli e le patate, a settembre il granturco. I fagioli venivano separati dal bacello con il correggiàto, un attrezzo formato da due bastoni uniti da una catena o da una corda, in gergo cavàglie de lèna, perchè sostituiva il cavallo nelle annate magre.
Alcuni prodotti tipici locali hanno sapori unici come la patata con profumo di castagna, il fagiolo bianco quasi introvabile, le verdure varie (la verza, detta ièrve, la cicoria ecc.), come le mele e le pere selvatiche, dette fuòrte, in via di estinzione, e le lècine (susine napoletane). Ci auguriamo che questi prodotti non scompaiano nella attesa di recuperarli alla nostra cultura e al nostro palato.
Il trasporto
Le vettùra sono animali da trasporto: cavalli, asini, muli ecc.
Nel trasporto a dorso si utilizzava il basto, detto varda, al quale si legavano due verròchele per il trasporto dei covoni, due tini detti piònzera per il trasporto dei liquidi o del letame (con il fondo apribile), sacchi di grano, granturco ecc., due"cestoni" per l'uva e la frutta in genere, quattro ganci a "V" per il trasporto della legna e delle zamàrde..
I covoni o il fieno si trasportavano anche con uno slittòne trainato da animali detto strascìne.
La tràglia era una slitta più grande e alta, in modo da consentire il trasporto su sentieri sconnessi .
Re cacchiòne era un tronco biforcuto per il trasporto a traino di carichi limitati su superfici scorrevoli.
Il carretto, re traìne, si muoveva sulle strade rotabili trainato da buoi, cavalli o asini.
L'allevamento
L'allevamento stanziale
Spesso gli animali erano condotti al pascolo a turno dai vari propietari. Le pecore, le capre e le mucche portavano un collare con la campana mentre i cavalli venivano legati alle caviglie anteriori con pastoie fatte di crine, o di nerbo di cavallo, o di catene con lucchetto per allontanare i ladri.
Alle orecchie dell'animale, si agganciava un sacchetto pieno di fieno per farlo mangiare oppur un cesto per impedirgli di mangiare il fieno trasportato..
Molte famiglie possedevano una capra che veniva affidata al capraio al mattino e riconsegnata la sera per la mungitura: era il latte più indicato da bere; talvolta veniva accomunato per farne formaggio.
L'allevamento del maiale era fondamentale per l'alimentazione della famiglia. Si ammazzava in gennaio, nei periodi di freddo secco, per garantire una migliore essiccazione degli insaccati.
La donna più anziana della famiglia raccoglieva il primo sangue pronunziando parole rituali.
L'animale veniva poi appeso al rammeglière , per essere squartato, depezzato e trasformato in ilatìna, cumpòsta, cìcure, capecuòglie, ecc.
"Le strade del paese erano invase da galline, maiali...." così descrisse con stupore il soldato neozelandese Harold Jamiesion nel "Diario" del 1944.
In paese c'erano, più numerosi di oggi, gli apicultori che producevano miele e cera, indispensabili l'uno come dolcificante e l'altro per le candele e per la finitura del legno.
Gli affumicatori rendevano le api innocue e consentivano la manutenzione degli alveari.
Nelle masserie e nei pascoli spesso bisognava difendersi dai "briganti" anche con le armi.
La feritoia esposta proviene dalla masseria Berardi nei pressi di S. Lucia la Posta dove il 30 luglio 1870 fu ucciso il possidente sig. Donato Berardi, soprannominato "Capòne" o "Vulpìtte". Il fucile e il corno per la polvere da sparo appartengono a quella epoca.
Le tagliole, di vario tipo e dimensione catturaravano topi, volpi, faine, lupi ecc. e venivano usate per proteggere i raccolti e gli animali domestici.
Quando le femmine degli animali vanno in calore:
la capra: và 'nzùrre
la vacca: và 'nturtùre
l'asina: và 'nnamòre
la scrofa: và 'nzuòine
la gatta: và 'ngazzìzere
la pecora: va 'nzavetièria
la cagna: và 'ncàlle
La transumanza
"La topografia del territorio della terra di Carovilli e Castiglione" (anno 1726 - Archivio di Stato di Foggia, Dogana delle pecore, s. I, b. 99, fasc. 1537) individua un "Oratorio diruto detto la Cunicella" nell'attuale sito della chiesetta di S. Domenico,
Il primo di settembre sui prati del tratturo attorno a S. Domenico, c'era, e c'è ancora in tono minore, la fiera del bestiame in occasione della partenza dei pastori transumanti diretti alla marina con le loro greggi attraverso i tratturi.
Il ritorno era festeggiato l'ultimo sabato di Aprile con la festa della SS. Incoronata.
La transumanza era fondamentale non solo per la economia ma anche per lo scambio tra le popolazioni attraversate di usi, tradizioni e modelli espressivi.
Il pastore transumante era autosufficiente, in grado di procurarsi tutto quello di cui aveva bisogno, dagli utensili alle vettovaglie, dagli indumenti in lana e in pelle ai rifugi in pietra "a secco" e nel tempo libero intarsiava oggetti di regalo o di mobilio come la caratteristica madia per conservare il pane.
Le pecore si tosavano a maggio usando le forbici da tosatura. La marchiatura avveniva con l'apposito ferro che portava le iniziali del propietario.
La mungitura e la caseificazione erano le principali occupazioni quotidiane del pastore: il latte veniva scaldato in un grosso caldaio, re cuòccheve, produceva la cagliàta e quindi il formaggio che prendeva forma nelle fiscelle.
Il burro era prodotto con un particolare attrezzo: la panna del latte viene sbattuta a freddo in modo da separare il grasso, che diventerà burro, dal liquido lattiginoso detto latticello.
Al burro e al formaggio si dava anche forma di una "pupa" o di un "cavalluccio" per il gioco dei bambini.
I cani pastori, tra i quali
si distingue il "pastore abruzzese" col pelo bianco, era indispensabile per tenere il gregge unito, per difenderlo dai lupi e dai frequenti tentativi di furto che avvenivano in particolari passaggi impervi dove il controllo era più difficile.
Sembra che le pecore sottratte riconoscessero il gregge di appartenenza al successivo passaggio dopo un anno e d'istinto cercassero di raggiungerlo.
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